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🌊 Il Mondo come Scuola 🌊

Percorri sempre la strada non battuta, perché solo con quella vedrai davvero il mondo.

Relazione “Figli della Libertà”- 7 marzo 2017

La serata del 7 marzo il cinema Lux di Torino ha ospitato la prima del film-documentario “Figli della libertà“, pellicola auto-prodotta e diretta da Lucio, Anna e Gaya Basadonne.
Il programma della serata ha previsto, al termine della proiezione, un intervento dei tre relatori llaria, Viola e David, i quali, attingendo a tematiche affrontate nel documentario e personali, hanno portato a testimonianza le loro esperienze da autodidatti per poi dare inizio al dibattito relatori-pubblico dal titolo “Il Mondo Come Scuola“.

I temi portati alla luce nel corso della serata hanno evidenziato molti argomenti attualmente discussi, quali: socializzazione, motivazione, possibili pre-requisiti da parte dei genitori quando si decide di tentare il percorso dell’homeschooling, apprendimento di gruppo e applicabilità del concetto libertario e autodidattico nel mondo universitario/lavorativo.

Dedichiamo questo articolo all’approfondimento dell’ultimo argomento, presentato da uno spettatore della serata sotto forma di domanda: “È inevitabile che, ad un certo punto della vita, bisogna fare i conti con la società e le sue esigenze, specialmente quando si parla del mondo lavorativo.
La libertà descritta nel film è quindi una realtà applicabile solo al periodo infantile/adolescenziale oppure anche al periodo che segue? “

Come premessa, vorrei sottolineare che noi relatori abbiamo sempre dibattuto in base alle nostre esperienze personali e che non rispondiamo in vece di nessuno se non di noi stessi.

Il concetto di libertà è, a parer nostro, un concetto che dovrebbe portare ogni singolo individuo a rispecchiarsi maggiormente nella società, non allontanarsene.
Quando noi intraprendiamo un certo tipo di percorso lo dobbiamo fare perché consapevoli del fatto che abbiamo il diritto di decidere cosa è giusto per noi e per i nostri progetti futuri.
Abbandonare la scuola non è né sinonimo di abbandono della società né tantomeno di abbandono dell’istruzione.
Di conseguenza, un persona che sceglie è anche un individuo consapevole di tutte le opportunità che la società in cui vive gli può offrire; se noi, come ragazzi autodidatti, abbiamo scelto di intraprendere questo percorso è perché, grazie al confronto con la scuola, ci siamo resi conto di cosa quel sistema ci poteva e non poteva offrire in relazione alle nostre esigenze e le nostre passioni.
Secondo noi, uscire dal sistema scolastico non significa automaticamente etichettare tutto ciò che riguarda l’istruzione tradizionale sbagliato oppure a noi eternamente inutile.
Noi tutti siamo in una fase di sperimentazione la quale ci ha portati a delineare i nostri piani per il futuro e comprendere meglio come possiamo muoverci per portarli avanti.
Se, per esempio, questi piani riguardano un percorso universitario (in Italia o all’estero), ben venga che noi ci muoveremo per capire come entrare all’università (esami, curriculum etc), ma lo faremo essendo consapevoli che questa scelta è stata dettata da un’esigenza personale e, appunto, libera.
Lo stesso discorso riguarda il mondo lavorativo; se si conoscono bene le proprie esigenze e le proprie aspettative non avremo problemi a selezionare un impiego che fa per noi.
Se ci si pone la domanda: “Questo lavoro fa per me?“, significa che siamo arrivati a comprendere non solo noi stessi, ma ciò che ci circonda.
Noi non abbiamo mai denunciato il sistema scolastico perché sappiamo che non è una questione di critica, ma di rimboccarsi le maniche e capire come possiamo muoverci per raggiungere ciò che desideriamo.
Se ciò che desideriamo è, per esempio, possibile/raggiungibile in Italia bene, se dovremo muoverci per l’Europa/mondo dovremo, a parer nostro, affrontare la situazione con cognizione e poi decidere.
Secondo noi, non bisogna remare contro le leggi, ma analizzarle e far valere i diritti che esse ci offrono come cittadini di un certo Stato.
A conti fatti, se sentiamo che una nostra esigenza non è tutelata dalla Costituzione di un certo Stato, dovremo guardarci intorno ed analizzare oggettivamente ciò che ci circonda.

Conclusione: Molti considerano la libertà di poter scegliere il proprio impiego un lusso. Secondo noi, è importante analizzare l’ambiente lavorativo nel quale si agisce, senza criticarlo/accettarlo a priori.
Non tutti possono abbandonare un lavoro solo perché non ci si trova più bene, ma queso accade in tutte le situazioni, non solo nel mondo adulto.
Siamo diversi e ognuno di noi agisce secondo le proprie necessità; la necessità di guadagnare è giustissima se non portata all’esasperazione e la necessità, per esempio, di mantenere una famiglia ne porterà magari in secondo piano altre, a seconda delle scelte che abbiamo fatto nella nostra vita.

Speriamo di aver espresso la nostra opinione nel modo più chiaro possibile e ringraziamo ancora tutti gli spettatori di quella serata.
I relatori

#La nostra esperienza nel mondo.

Da dove posso cominciare?
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È da un bel po’ che non scrivo qualcosa su questo blog, in fin di conti è Ilaria che dovrebbe amministrarlo, ma devo tener conto che lei ha altro da fare.
È da settembre che penso “Sì ora lo faccio, ora lo faccio”, e alla fine mi ritrovo sempre su YouTube a fare niente.

A fare niente.

Ma cosa sto dicendo? In questi mesi posso dire tutto tranne che io e Ila non stiamo facendo niente.

Da dove posso cominciare? Diamine, è così difficile scrivere un blog. Allora… Potrei cominciare dal settembre del 2016? Forse. Spero di non confondervi la vita con tutto quello che abbiamo e stiamo facendo.
Che dire? Quello che abbiamo fatto è solo un viaggio, in fin dei conti. Di tre mesi. In Germania. In ASSOLUTA autonomia.

Pausa ad effetto *

DAN DAN DAAAAAAN!!!

Non per rendere la cosa troppo speciale, ma devo ammettere che è stata un’esperienza molto particolare. Era da un po’ che io ed Ilaria stavamo pensando di fare un viaggio insieme, ma non volevamo essere troppo generiche.
Voglio dire, sarebbe stato troppo facile andare in albergo da qualche parte, con mamma e papà, grazie ad un’agenzia. In quei casi ti basta fare un clic e… ZAC! Hai già tutto il viaggio programmato. Che gusto ci sarà mai, poi?
No, no, no, dovevamo assolutamente personalizzarcelo nel modo giusto. Abbiamo deciso, alla fine, di affittare un appartamento a Winnenden, Germania, da una famiglia che Ilaria conosceva già. Sarebbe stato solo per noi, quindi dovevamo impegnarci a vivere da sole nel migliore dei modi.

«E allora?», direte voi. «Che difficoltà c’è a gestirsi solo un appartamento?»

Nessuna difficoltà, infatti. Ma, vi prego, lasciatemi spiegare.

Prima di tutto:
I soldi spesi erano i NOSTRI, cioè i miei e quelli di Ila, guadagnati un po’ grazie a Babbo Natale/ Coniglio di Pasqua (so che state ridendo, e vi consiglio di smettere immediatamente), oppure guadagnati lavorando nel ristorante di nostra zia in montagna. In tutto abbiamo speso quanto una persona sola che parte con viaggio programmato, quindi non pensate che ci abbiamo dato dentro con le spese.

Secondo:
Oltre ad esserci organizzate tutto da sole, abbiamo deciso di frequentare una scuola del posto come uditrici, cioè che si ascolta solo e non si partecipa veramente alla lezione. Alla fine, però, i professori hanno iniziato a trattarci come vere studentesse e molti di loro non riuscivano a farsi entrare nella capoccia che io NON.PARLAVO.IL.TEDESCO. Per loro era una cosa inesistente, e continuavano a parlarmi come se nulla fosse mentre io ero lì che sudavo e che guardavo in segno di aiuto l’unica ragazza italiana che mi dava una mano.
Dico solo una parola: tragico. Appena i miei compagni dicevano al professore che ero italiana e che non capivo una mazza di tedesco, lui mi guardava con uno sguardo assai confuso, come per dire:

«Chi sei, allora? Cosa vuoi da noi? CHI È IL MANDANTE?»

E io rimanevo lì, ferma immobile aspettando che realizzasse il fatto che il Tedesco non è la prima lingua che uno straniero tende a studiare.
E il problema è proprio questo: loro non lo capivano! Passati due secondi di silenzio imbarazzante riprendevano a parlare a macchinetta in tedesco, aspettandosi che io gli rispondessi IN TEDESCO.

Visto che non potevo, stringevo semplicemente gli occhi in modo confuso e sussurravo: «Ehm… What…?»
E lì tutta la classe a ridere. Io li fissavo con un grande istinto assassino, mentre pensavo: «Un’altra sola risata e vi spedisco via pacchi nei mercati napoletani, poi vediamo chi ride.»

Devo dire che il problema più grande in questi tre mesi non è stato vivere da sole, ma è stato proprio andare a scuola. Era veramente brutto alzarsi alle 5.50 ogni mattina, farsi un quarto d’ora in bici al freddo in mezzo alla steppa desolata, con il buio dell’apocalisse e con gli occhi che quasi mi si chiudevano. Ma chi è stato l’idiota che ha deciso che, in Germania, le scuole devono iniziare alle 7.30?! Cosa voleva risolvere? Se era solo per fare più lezione ha fallito miseramente. Per un’ora, tanto, i ragazzi sembravano più morti viventi che persone, quindi non serve a niente.
La cosa bella è che lì non ci sono interrogazioni orali e le verifiche sono molte di meno. I compiti a casa, invece, sono gli stessi. La scuola in sé era ben fatta, devo dirlo. I bagni non hanno la stupida e odiata turca, ma un water vero e comodo, in più erano sempre puliti e con la carta igienica, quindi non è stato proprio un incubo.
Sta di fatto che ho smesso di andare due settimane prima del previsto.
Non tanto perché non mi piaceva, ma perché avevo altro da fare. Avevo un impegno con un nostro amico regista: dovevo riprendere e montare tutta la nostra esperienza là e dargliela come mini-documentario, che lui poi avrebbe messo come speciale nel film-documentario “I Figli della Libertà”. Quindi era un bel lavoro da fare. Con la scuola tra le scatole sarei impazzita,quindi ho deciso di rinunciarci (Eh… È stata una scelta difficile… Davvero tragica, sì…)

Per Ilaria è stato diverso, credo. Anche se non si è fatta molti amici come me, ha stretto più i contatti con i professori ed ha preferito continuare fino alla fine.
Tornare a scuola dopo tutto questo tempo è stato un po’ strano, ma nessuna della due ha sofferto particolarmente.
Avevamo deciso di andarci principalmente per riempirci le giornate, quindi non le davamo una grande importanza.

Ora, invece, siamo a Olsberg (Germania), una cittadina quasi al confine con l’Olanda. Viviamo con una famiglia che ci offre gratis vitto e alloggio (che scroccone che siamo). In cambio, però, aiutiamo la loro bambina di 5 anni, che non vede e ha un ritardo cognitivo. Praticamente ci consideriamo delle aupair, ma comunque io continua a dire babysitter, perché questa famiglia ha deciso anche di pagarci.

Ora ho scritto abbastanza sono stanca… Magari riprenderò il discorso più tardi. Scrivere su un iPad mini non é proprio una grande comodità.

Ci si vede, allora!!!

Ciauuuuuu,

Viola🌸

Le lune della rivoluzione

Esistono persone che considerano la propria vita come un piccolo satellite destinato ad illuminare la Terra persa nelle Tenebre del Terrore.

Lui, allora, è stato una delle Lune della Rivoluzione.

Illuminò ciò che il Re Sole abbandonò per strada con stenti al posto di emozioni e stracci al posto di sogni, facendo da compagno e spalla su cui piangere ai poveri.

A chi fa appello il nostro Ego? A chi si ispira?

Alle Lune della Libertà.

Molto prima che la scintilla della Rivoluzione fosse appiccata, Lorenzo De Medici si affacciava alla propria finestra per cullarsi negli astri che la accompagnavano: compose una delle liriche a mio parere più emozionanti e neutralizzanti del Tempo, senza paura né limiti.

La sua solitudine ti accompagna, accompagna ogni uomo solo serrato dalla malvagità della luce.

E’ l’unico, ma ha un esercito di menti solitarie che ogni notte si radunano nelle strade per osservarlo, accarezzarlo con lo sguardo.

Un ragazzo bello, alto, imponente, ma ignaro della calamità che lo attrae alla Terra e della stessa che attrae ogni singolo cuore a lui.

Ama, ma è solo: è solo, ma è amato.

Il suo compito è quello di accompagnare ed assistere, senza emettere suono.

Allo scoccare dell’alba si dilegua silenziosamente, senza che il mondo ne risenta.

La gente si risveglia e percepisce una mancanza, quella scintilla di Follia che li ha cullati nei loro momenti più soli e persi.

Lo sentono allontanarsi, portandosi con sé le fantasie, le speranze che hanno vagato per l’intera notte tra le loro ciglia posate.

Lo vedono come un sogno stesso, tanto la speranza di trovare qualcuno di umano pronto a dichiararsi tuo mentore e seguace allo stesso tempo è stata sfocata da questo Mondo.

 

La domanda è: avranno i suoi seguaci coraggio di bruciarsi alla luce del sole manifestando apertamente la loro mancanza?

La scintilla è nata, ma chi ci assicura che troverà campo fertile ove crescere, fino ad esplodere?

Nessuno, ma è tutto qui quello che ci rimane.

I miserabili

Ritornare ad affacciarsi alle proprie parole dopo molto tempo, magari accompagnati da una canzone, pare come assistere all’epilogo di una parte della propria vita, una parte che è morta di stenti e, molto spesso, di abusi.

Riguardare addietro è tanto utile quanto pericoloso.

Io, in questo istante, sto assistendo ad uno spettacolo: gli ultimi tre anni della mia vita visti alla velocità della canzone “Hallelujah”, una nenia squisita, ma malinconica.

Posso vedere con lucidità i momenti più felici e più tormentati, gli istanti di puro smarrimento a quelli di puro ottimismo.

I miei occhi vagano nel nulla, alla ricerca di una scena particolare, quella in cui mi sono guardata allo specchio e promessa che un giorno sarei diventata qualcuno.

Se stessi scrivendo in inglese, avrei iniziato quest’ultima frase con delle semplici, intraducibili parole: “Oh, Lord (..)”.

Oh, Lord, c’è un volere dentro di me e ho paura che il corpo in cui è nato sia anche la sua gabbia.

Spesso, sento che mi sto trattenendo troppo: è forse una conseguenza del mio perenne pellegrinaggio?

Come faccio a saperlo? Dovrei chiedermi se ORA sono felice?

Parole al vento, ecco di cosa noi ci vantiamo: dove sono i fatti, dove sono le campane?

Voglio essere felice, voglio sentirmi libera e sicura.

Voglio, voglio, ma non posso.

Se dovessi scomparire, cosa vorrei che fosse ricordato di me?

Forse sono queste le domande che ci dovremmo porre per poter comprenderci meglio: cos’è realmente essenziale alla nostra anima per poter attraversare le dimensioni e rimanere infinita da qualche parte, sola, ma sicura?

 

Le punte dei pini sono come matite che sfumano il colore del cielo, la cui luce sfuma a sua volta le nostre mani tremanti, intente a sfumare un ricordo ispirato a quel cielo azzurro sopra di noi.

 

Sto crescendo, sto vivendo, ma chi mi conosce?

Spesso, la tentazione di credere in un futuro uguale per tutti mi assale, facendomi credere che qualcuno, lassù o laggiù, sappia già cosa farmi sentire, incontrare, vivere.

No, mi dispiace: ho smesso di credere al destino da un buon pezzo e, nonostante la tentazione sia spesso stressante, non ho intenzione di ritornare sui miei passi.

 

Continuerò a vivere nei miei piccoli dubbi, nelle mie mancanze, con le mie paure.

Dopotutto, sono simpatiche: restano tutto il giorno affacciate la finestra, osservando il fuori e immaginandosi come sarebbero distrutte all’istante dal contatto con la realtà.

Sono io che, qualche volta, le vado a scuotere e loro si voltano verso di me, con occhi sempre più sfocati e labbra tremanti: anche le paure hanno una vita, anche loro muoiono.

Io le abbraccio e loro mi circondano con il loro calore, disarmante e istantaneo.

Gli abbracci durano sempre meno, fino a quando non ci saranno più.

Chi potrò abbracciare quando loro non ci saranno più?

Chi potrò interrogare sul mio futuro, se non loro?

Sto facendo la cosa giusta nel cercare di lasciarle andare?

Chi ci sarà a rendermi speciale, se non le mie paure più sincere?

 

Sì, Viola è ancora viva.

 

Probabilmente non ci crederete, ma… sono ancora viva! Mi sono appena accorta che è da mesi che nessuno ha più sentito parlare di Viola Gavetti. Neanche io ho più sentito parlare di Viola Gavetti. No, scherzo, devo dirvi la verità: non avevo la minima voglia di alzarmi dal divano, mettermi al computer e scrivere su questo blog (-;

Che bella persona che sono!

Ma, comunque, torniamo alla mia resuscita. Voi vi starete sicuramente chiedendo «Ma cosa è successo a Viola in tutti questi mesi?»

O almeno spero. Sono ancora più certa che la maggior parte di voi non si è neanche accorta che sono magicamente scomparsa dalla civiltà umana, ma non importa, neanche io me ne sono accorta.

Per le poche persone che se lo sono domandato, la mia vita, in questi mesi, è cambiata TOTALMENTE. Sono entrata a far parte del gruppo che è stato soprannominato da molti “il club dei bambini asociali”, ovvero sono diventata un’autodidatta.

*silenzio ad effetto*

«COSA?!?», penserete voi, «Cosa hanno fatto alla vera Viola Gavetti??»

È finita sotto ad un treno (eh eh eh). Beh, non esattamente. Dopo che ho fatto la mia scelta ho sentito di essere molto cambiata. Ed è strano, perché solitamente i cambiamenti non si sentono. Ma credo anche di stare correndo un grande rischio. Vi spiego tutto: a Novembre, quando ho lasciato la scuola, ero molto convinta di volerlo fare, quindi non ho pensato minimamente a quello che sarebbe successo dopo. Solo qualche settimana a venire ho realizzato che alla fine della terza media c’è una cosa chiamata “esame”. Solo allora mi sono accorta che sono stata molto coraggiosa. FORSE UN PO’ TROPPO.

Tuttavia, non tornerei indietro. Non rinuncerei mai a fare il mio esame, come molti nella mia situazione hanno fatto. È vero, me la sto facendo sotto, ma sento che devo farlo. Non fraintendetemi, nessuno mi sta obbligando, questa è una mia scelta. Però sento odore di sfida con me stessa, devo dimostrarmi che non sono una completa idiota, capite? So che molti di voi staranno pensando che non è l’esame a giudicarmi, che non dovrei farmi condizionare dalle opinioni che gli altri hanno su di me. Ma, alla fine, ci caschiamo tutti, vero? Non sto cercando di fare la maestra di vita a voi altri, sto semplicemente guardando in faccia la realtà. L’opinione degli altri è l’unica cosa che conta veramente, per noi. È così, non si può negare. Vorrete forse dirmi che mai nella vostra vita non avete avete mai  cambiato idea solo perché qualcun altro aveva dato un’opinione diversa? Stupidaggini! In un modo o nell’altro capita a tutti, ed è una cosa completamente normale.

I miei vecchi compagni non hanno preso affatto bene la mia decisione, infatti ora mi odiano quasi tutti. Per quale motivo, non lo so. Ma sapete una cosa? Non me ne frega proprio niente! Tanto saranno loro a marcire in una stupida classe per il resto della loro vita, mentre io sarò a casa sul divano oppure in qualche cittadina del mondo, a studiare qualcosa di bello, addirittura sorridendo mentre leggo. So che non devo preoccuparmi per l’esame, perché io mi sto preparando bene, ho addirittura rinunciato a fare il mio periodo di descolarizzazione per prepararmi a questo momento. Non mi importa con quale voto passo all’esame, a me interessa passare e basta.

Ma, in effetti, cosa cavolo ve ne frega a voi delle mie crisi da ragazzina? Sapete, sto rileggendo ora quello che ho appena scritto, e mi sembra di vedere il diario di un’isterica uscita fuori di testa. Tuttavia, è esattamente quello che penso. Quindi devo reputarmi isterica. Probabilmente lo sono. E fuori di testa? Quello lo sono tutti i giorni.

E sapete una cosa? NE VADO FIERA! MUAHAHAHAHAHAHAHAHAHAH!

Dovrei smetterla di essere così terrificante.

 

Epilogo

Le maniche della felpa allentano la loro presa, i suoi fianchi possono finalmente respirare.

Lei fa in modo che Winn cada, sbatta la testa e rimanga pietrificata sul suo terreno.

Quale sarà la prossima mossa?, sono le parole che le trapanano le orecchie mentre tenta, con le ultime forze, di ricacciare quella risposta troppo chiara, quella condanna che l’ha accompagnata alla luce del sole fin da quando, un pomeriggio di anni addietro, ha avuto l’ardire di rivoltarsi ad un destino che non avrebbe reso unica la sua vita.

«Non voglio diventare un’ombra anch’io..»

Ma tu lo sei già..

Non mi può far del male, urla, mentre i suoi piedi si rifiutano perfino di toccare terra; scattano come azionati da un calore soffocante con il quale sono improvvisamente venuti a contatto.

Il pavimento è il suo mondo, la terra della sua ombra.

Si ritrova ad arrampicarsi sull’unico mobile della stanza, con la gola sommersa dal terrore di non poter essere aiutata da nessuno.

Percepisce il sangue scorrerle lungo le guance: lo osserva scivolare silenziosamente lungo le sue vesti, fino a non raggiungere il tappeto che ha attutito, pochi istanti prima, la sua caduta.

Gente in fila, un fiume…il mio tappeto del Mondo Perduto.

Le chiazze che lo oscurano, man mano, si uniscono tra di esse come cose destinate ad unirsi.

«Lasciami!».

Quella supplica accompagna il desiderio di svanire, di poter scappare.

Ma lei, lei non è mai scappata.

Lei è sempre stata lì, con lei, a ricordarle di essere umana, di esistere, di essere fragile.

La mia ombra ha ucciso ombre, le quali hanno ucciso persone.. e adesso vogliono uccidere me.

Percepisce il buio avvicinarsi, i suoi occhi si chiudono, per un’ultima volta, mentre il peso di quegli anni passati le presenta finalmente il conto.

Pare che la gravità sia aumentata, che cadere sia obbligatorio ed essere trasportata indietro, in quella casa che brucia, insormontabile.

Sta impazzando, sa che è così.

Il suo nome l’ha resa talmente fragile che percepisce di essere stata ingannata.

Alza leggermente la testa, e nota che lei la sta ricoprendo completamente, senza dare importanza ai colori che la rivestono.

I muscoli tesi del suo collo la aiutano a riaccompagnare la nuca per terra, mentre il gelido di cui aveva sempre sentito bisbigliare le immobilizza gli arti inferiori, per poi gustarsi con calma i suoi fianchi, il suo ventre, il suo petto, il suo cuore.

Avverte le palpitazioni, mentre quell’onda di morte le si propaga lungo il torace, sotto le ascelle, lasciando semplicemente che il gelo la anestetizzi, per poi addormentarla per sempre.

Non dovrai più venirmi a trovare, pensa, mentre tenta, in quegli ultimi secondi a disposizione, di ricordare tutto ciò che può, come quando, in quelle mattine di ansia, pochi erano i minuti a disposizione per selezionare ciò che si sarebbero portati dietro e quello che avrebbero abbandonato.

Ciò che sfugge al panico del dolore dato dagli ultimi istanti di vita mi accompagnerà per sempre.

Non mi dovrai più venire a trovare, perchè sono io a venire da te, questa volt e e per sempre..

Si afferra, con un ultimo respiro, le ciocche dei capelli: sono gelate anche queste, ma il suo senso riesce ancora a riconoscere il profumo della Libertà.

È così che morirà: inalerà la Libertà bramata e la espirerà solo quando sarà innanzi a lui.

Te la regalo, gli dirà, e forse lui potrà smettere di vivere di soli ricordi.

Forse, certi profumi sono più potenti della morte stessa.

Tenta di chiudere gli occhi, ma il gelo deve averle fatto dimenticare come si fa.

Non sente più nulla, e non può far altro che ricordare come è piangere.

È così che ci si rende conto di essere morti?

Quando si arriva al punto di doversi accontentare di un ricordo, perché la morte ha ormai reclamato il nostro cuore.

 

Ilaria

 

Odi et amo

Ascoltare delle voci cantare della loro prima stretta di mano con l’Amore.

Così ingenue, così fragili, ma così sincere.

Attendere che l’ultima nota riecheggi nelle loro gole, per il gran finale.

Un sospiro di accettazione.

Hanno appena cantato con il loro cuore: ma tu, da che parte stai?

Sentirsi venire a mancare le parole quando hai tutto chiaro nella tua mente è un tipico sintomo di colei/ui che ha visto tanto, ma riposato poco.

Ma, dopotutto, chi vorrebbe mai evitare di cogliere l’attimo, carpe diem, di sentirsi parte di qualcosa di magico?

Un coro di adolescenti i cui occhi seguono svogliati, ma pronti, un testo di una canzone qualunque stampata su di un foglio stropicciato qualunque.

La domanda sorge spontanea: “ Sarà il loro cuore stropicciato come quel foglio, ma marchiato da quelle parole per sempre?”

L’adolescenza e l’ Amore: le si può studiare o non si deve far altro che viverle?

Anche se non lo si può certamente considerare un “giovinotto”, Catullo e la sua lirica, specialmente quella prodotta nel periodo di “separazione” dalla sua Lesbia, mi insegnano molto.

Non mi sto riferendo ad ogni singolo verso, ogni singola parola, bensì ad un singolo e semplice particolare: Catullo, in tutte le poesie composte nei giorni del fatidico “Odi et amo” continua a rivolgersi a Lesbia come “sua”: “ Huc est mens deducta tua, mea Lesbia, culpa atque ita se officio perdidit ipsa suo, ut iam nec bene velle queat tibi, si optuma fias, nec desistere amare, omnia si facias

Catullo, con queste parole, si sta studiando: “Il mio cuore è così ridotto a causa tua, o mia Lesbia, ma, nonostante esso abbia perduto tutte le proprie protezioni e funzioni, è comunque deciso, da qualche Volere, che esso, anche se non ti potrà più apprezzare come un tempo, qualsiasi comportamento tu adotti e qualsiasi cosa tu faccia, non potrà mai smettere d’amarti.”

La traduzione è più che parafrasata, ma sono le parole che quel semplice “mea” ha suscitato in me: lei non appartiene più semplicemente a lui, ma al suo cuore.

E’ il cuore che decide, è il mens che continuerà ad amarla, non lui.

Catullo ammette che, da quel momento in avanti, lui non potrà far altro che essere schiavo di quei sentimenti che, quando la Gioia di essersi unito a Lesbia trionfava sulla Ragione, lui ha iniettato nel suo cuore, senza, forse, la piena consapevolezza che, una volta che un veleno entra in circolazione, nulla può più salvarti.

Io ammiro Catullo, perché, ai miei occhi, attraverso le sue parole tenta di ammettere ciò che, forse, a parole non sarebbe mai riuscito ad esprimere: lui è, semplicemente, uno dei miliardi schiavi dell’Amore.

Attenzione: lo siamo tutti, ma se lasciamo gestire le dosi al nostro cuore, chi prima e chi dopo, finiremo tutti per comporre i vari sequels di Odi et amo.

Voglio poter credere di essere io a decidere, non il mio cuore: non chiederò mai a nessuno di rinunciare a qualcosa per me, perché so quanto è difficile raggiungere un proprio sogno.

Non voglio, quindi, che nessuno mi chieda di rinunciare a qualcosa per lui/lei.

“ Non potrei mai lasciare questo posto perché non riuscirei a vivere senza di lui/lei”.

Ecco, io comprendo che il concetto di priorità è diverso agli occhi di ogni singolo umano, ma io mi chiedo come ci si possa accontentare dell’amore che qualcuno prova nei tuoi confronti e viceversa per rinunciare a scoprire il Mondo.

Io non so niente dell’Amore perché, sinceramente, non sono mai stata innamorata; amo la mia famiglia, i miei amici, la gente che incontro, ma, per ora, non credo che riuscirei ad attaccarmi a tal punto ad una persona tanto da convincermi a voltare le spalle ad un viaggio intorno al Mondo.

Sono sicura che, un giorno, incontrerò qualcuno che, come Catullo, mi potrà insegnare molto su questo argomento; per ora, rimango dell’idea che voglio tentare di essere Io a comandare il mio cuore, non il contrario.

Catullo, se volessi accettare un mio consiglio: monta su una barca e vai a salpare i mari di sentimenti di cui questo mondo è composto per il 70 % cr.

Tuffatici, riemergi, prova, piangi, componi, ma ritorna sempre e comunque sul tuo legno, senza farti attrarre dal calore delle gocce che raggiungeranno e risveglieranno molto velocemente la fragilità del tuo Cuore.

 

Grüße, Ilaria

Queste sono solo dei campioni che ho selezionato per fare una prova di pubblicazione.

Appena posso, pubblicherò anche le altre, promesso 🙂

Per le prime due foto, ” Five words in five colors”, i crediti vanno a Kathrin, alla quale auguro il meglio come fotografa.

Grüße, Ilaria 🙂

Unheimlich

Quando ci si guarda indietro, dopo giorni e giorni di Vita, capita spesso che, come sicuramente avrò già annotato, i sentimenti scavalchino di gran lunga le parole e i sensi la Ragione.

Quando, rileggendo queste poche righe, tento di imporre ai miei pensieri un attimo di pace, mi rendo conto che non potrà mai funzionare.

E allora l’unica cosa che posso fare è appellarmi a James Joyce e dare voce ai pensieri così come la mia mente gli dona vita:

Non ci posso credere. E’ già finita. La scuola, le lezioni in tedesco che, i primi giorni che hanno messo a dura prova la mia dedizione verso questa lingua.

Le campane al posto delle campanelle, il flusso di studenti che rientra nella propria aula, le mie mani insicure che si rivoltano milioni e milioni di volte l’orario, per assicurare ai miei occhi che quella in cui sono è l’aula giusta.

La sveglia alle 5:45 am, l’ attraversata mattutina in bici della magnifica sorgente campagna tedesca, l’orologio del paesino sempre troppo avanti e il mio fiato sempre troppo indietro.

L’enorme parcheggio delle bici appena sotto il Gymnasium, la gente infreddolita che attende che le porte vengano aperte.

E’ come se dovessi tornare a scuola”

Ma io, sono tornata realmente  a scuola?

Le porte che si aprono, il fiume che si stringe, il mio cuore che batte.

“Voglio ricordare questo momento”

Voglio che la mia mente rammenti per sempre quanta paura avevo di vivere questi passaggi il primo giorno.

Voglio ricordare di aver avuto timore, voglio ricordare che ho paura di fallire.

Ma le mie mani hanno afferrato quella maniglia, la mia pelle ha incontrato il gelido brivido dell’insicurezza, i miei occhi quelli di persone che non si aspettavano un volto nuovo.

Un attimo di pausa mi lascia rivivere quei momenti, ancora freschi, e mi fa domandare quante ore, quanti minuti saranno sufficienti alla mia mente per imprimerli sulle sue pareti per sempre.

Il volto di un liceo paesano può celare molti segreti: la pace non è altro che una maschera adottata dall’umanità dei nostri sentimenti per coprire la loro vera Natura.

Sono questi i pensieri che il Lessing- Gymnasium di Winnenden ha suscitato in me: un insieme di minuscole sfumature alimentate dai sogni di quei mille ragazzi che popolano le sue vene ogni giorno, impegnati a spostarsi dal laboratorio di chimica all’aula di latino, ignari di stare imprimendo, sui muri dei corridoi, una piccola crepa, una nuova fonte di luce.

Sentirmi parte di tutto ciò è stato il più grande regalo che io abbia mai potuto desiderare: rivivere una realtà dalla quale avevo deciso di separarmi senza ripensamenti o paure; nonostante le insicurezze, i minuti passati in bagno guardandomi allo specchio senza sapere se sarei riuscita a riunirmi al gruppo senza sentirmi tremare un po’ dentro, sono riuscita a sentirmi me stessa di nuovo su un banco, in una classe, davanti ad una versione di latino, allo squillare delle campane ( non campanelle 😉

Nessuno sapeva che sarei arrivata: rammento perfettamente le facce incredule, ma distaccate, dei miei nuovi compagni di classe ( anche se la nuova ero io) quando ho varcato lo stipite della porta dell’aula della 10 E, la sezione alla quale ero stata precedentemente assegnata.

Nessuno mi ha chiesto chi fossi, ma io avevo voglia di raccontarlo, anche se con la consapevolezza che, ai 3/ 4 di loro non interessava veramente.

Ed è così che, dal secondo giorno di scuola, ad ogni intervallo tentavo di sorridere e rendermi partecipe alle discussioni di gruppo.

L’integrazione non è un aspetto semplice: devi essere in grado di riconoscere te stessa per imparare a conoscere gli altri.

Come possiamo d’altronde accettare le diversità altrui se non accettiamo che, nonostante tutto, noi non saremo mai uguali agli altri?

Una volta assimilata questa concezione, non ti ferma più nessuno: auguro a tutti di riuscire ad arrivare a quello stadio nel quale il tuo sorriso e le tue azioni ti faranno da passaporto universale verso tutti i cuori che incontrerai.

Adesso che ho provato una volta per tutte come ci si sente quando una persona ti sorride quando ti vede, quando tu incontri gente che ti fa sentire unica attraverso la loro unicità, credo di avere un po’ di timore di ritornare a casa.

Non voglio lasciare questo piccolo paesino a cui “pace” mi ha insegnato molto.

Kathrin (fotografa provetta), Tamara, Chiara, Lias, Maurice e tutti gli altri che mi hanno aiutata a vivere al meglio questi due mesi, divisa tra lezioni e volontariato all’asilo;

Ronja, Nicole, Monika e Gerard, coloro grazie ai quali ho realizzato che, forse, non sarebbe stato impossibile vivere due mesi da sola, cucinandomi, organizzandomi e pensando indipendentemente;

I miei genitori e Viola, il cui costante supporto, seppur “lontano”, mi ha fatto sentire pensata e amata nonostante la solitudine che esperienze come questa ti servono solo come antipasto a un pasto pieno di odori, sentimenti e profumi in costante cambiamento.

Di battaglie il mondo è pieno, ma solo perchè noi ne siamo, innanzitutto.

Non le vincerò tutte: c’è l’esame, c’è il prossimo progetto in incognita, ci sono i miei quasi 17 anni, ci sono tutte quelle persone con le quali vorrei poter tenere contatto costante, ma che non sempre si dimostrano come i miei occhi ingenui le avevano prospettate.

C’è quel treno che mi aspetta, quella matematica che mi porta, giorno dopo giorno, a desiderarla di più, nonostante i miei continui acciacchi.

 

I’ll spread my wings and I’ll learn how to fly, even if it’s not easy to tell you goodbye

 

 

 

 

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